VentiTre


san lorenzo studio rec.@seminario prof. O.Carpenzano
marzo 23, 2009, 10:08 am
Filed under: ARCHITETTURA & CO.

tavola-vincenzo-tattolo

In una ipotetica mappatura di facciate cieche all’interno delle città e, in particolare a Roma, si verrebbero a creare delle curiose concentrazioni in alcuni quartieri dovute a motivi diversi: legati a delle normative sulle modalità di costruzione o ad eventi storici importanti.

Soprattutto in quest’ultimo caso le facciate conservano una sorta di traumatico e, allo stesso tempo, romantico silenzio. Sono espressioni di un non finito, invocando quasi una richiesta di ritorno alla vita, all’espressione. Da qui la scelta di analizzare le facciate cieche del quartiere San Lorenzo di Roma. Tali facciate, nella maggior parte dei casi, sono oggi quel risultato ancora bendato dei bombardamenti avvenuti durante la seconda guerra mondiale. Camminando per San Lorenzo queste pareti sembrano aver perso qualsiasi valore comunicativo nei confronti della città. In particolare come applicazione di tale studio la parete fra via di Porta Labicana e via dei Sabelli mostra degli spunti interessanti perché suddivisa in più parti e perché antistante le mura. Da questo doppio aspetto di parete cieca e muta nasce l’idea di una installazione di funzioni legate alla performance visiva e uditiva: una “parete” da vivere sia dall’interno che dall’esterno, attori e spettatori nello stesso tempo. Pensare la superficie staccata dall’edificio cui appartiene, non più come la definizione di un volume. Un elemento unico che scambia informazioni sottoforma di suono con l’esterno e che ritorna a vivere proprio come tramite fra interno ed esterno. Il suono produce un’immagine in continua evoluzione.

La suggestione del progetto arriva da una installazione dell’artista americano Joo Youn Paek che mette insieme l’antica arte giapponese degli origami e le più moderne tecniche di sensori sonori e di interfacce per la gestione di forme melodiche complesse. La fisicità del movimento che consente di portare ogni piega dell’origami su un’altra produce una sempre diversa combinazione melodica. L’installazione consiste in tre fogli di carta quadrati con circuiti aperti fatti da tessuti conduttivi attaccati alla carta. I fogli sono piegati in base a tre meccanismi fondamentali dell’origami: la sfera, l’aquilone e il cane. Quando i fogli sono piegati lungo le linee stabilite, un circuito si chiude permettendo l’emissione di un suono. Ciascuna piega è associata ad un diverso suono vocale cosicché le combinazioni di suoni creano armonie. 1

Di qui l’idea di utilizzare l’origami o, più in generale, la piega della superficie in sovrapposizione alla parete cieca. La scelta di una parete piegata, “lavorata” aggiunge un primo registro comunicativo verso la città. Questa reagisce in maniera diversa alla luce, secondo angoli diversi, mostrando ombre e variazioni di colore sempre nuove a seconda dei punti di osservazione. Il disegno della nuova membrana è determinato partendo da una griglia regolare che individua dei possibili punti nodali che consentono sia di creare una specie di matrice strutturale ma offrono anche un sistema semplice che può diventare applicabile in diverse situazioni per pareti cieche in parti differenti della città.

In quello spazio “liminale” fra la parete cieca e la nuova superficie, le facce dell’ origami si ripiegano su se stesse a creare delle capsule attaccate alla parete esistente che ospitano degli studi di registrazione a disposizione della città tramite dei collegamenti esterni. La scelta di questo tipo di funzione è legata anche alla vita del quartiere oggi. San Lorenzo è per antonomasia un quartiere con un’ alta percentuale di giovani dovuta alla presenza dell’università e in particolare di luoghi deputati alla musica.

La finalità ultima della parete esterna è quella di parlare, di mostrare quello che avviene all’interno di essa ed oltre la parete cieca all’interno degli appartamenti. Una sorta di irraggiamento dal nucleo delle abitazioni verso la città. Quindi i suoni, i rumori delle vite che si svolgono all’interno delle abitazioni retrostanti la parete cieca vengono captati, registrati in maniera randomica e immagazzinati in una sorta di database sonoro. Una specie di grande stetoscopio elettronico che capta delle pulsazioni della vita domestica degli abitanti degli edifici oltre la parete esistente. Lo stesso principio viene applicato agli studi di registrazione. In maniera casuale viene registrato ciò che si produce in termini di suono e/o rumore all’interno di questi nuovi organi urbani. Quindi da una parte le case e dall’ altra delle sale musica. In mezzo il limite dell’edificio fino a questo momento invalicabile che diventa ora inconsistente consentendo un “dialogo” fra interno ed esterno.

A supporto di questa prima parte legata alle premesse concettuali e funzionali di occupazione di questo nuovo spazio interstiziale creato ci sono gli ultimi due accenni legati alla tecnologica che può completare questo percorso da parete cieca/muta a superficie performativa/parlante in un continuo rimando semantico e sensoriale tra vista e udito, tra immagini e suoni.

Tutti i suoni preregistrati e immagazzinati vengono poi gestiti grazie all’interfaccia monome.2 Questa consente di immagazzinare una serie di suoni su diversi canali e di miscelarli sia in maniera casuale sia secondo delle logiche di combinazione preordinate. “La griglia astratta del sequencer diventa, quindi, una sorta di scacchiera dilatata e riprogrammabile che accoglie nelle sue apparentemente rigide geometrie le morbide fluttuazioni del codice che regge l’esecuzione sonora.” 3

Dopo la fase di elaborazione del suono si passa al risultato finale. In qualche modo quella parete cieca e invalicabile diventa il limite dell’”irraggiamento” del suono dall’interno verso l’esterno. I suoni vengono raccolti e gestiti tramite un’interfaccia che poi consente di restituire un’immagine alla nuova parete sottoforma di superficie performante. Infatti la griglia rigida del controller monome è collegata alle singole “cilia” del sistema Super cilia Skin4 che rivestono la parete esterna e che riescono a modificare la loro posizione in base agli impulsi sonori che ricevono.5

In definitiva ne consegue una parete esterna che mostra alla città una immagine di sé sempre nuova, in continuo cambiamento e che tale cambiamento è il risulato della combinazione di quello che avviene oltre sé. Non più uno schermo concettualmente non valicabile ma una membrana permeabile e aperta allo scambio in termini di critica e di risposta. Critica per ciò che accoglie al suo interno, oltre sé stessa. Parlante in quanto spiega e svela ciò che è oltre. Una parete viva.

Note

1. http://www.jooyounpaek.com/foldloud.html

2. http://monome.org/

3. “Il sequencer inteso come interfaccia per l’editing di contenuti ha da tempo travalicato il suo legame culturale con la produzione musicale, diventando un archetipo simbolico della strutturazione di informazioni digitali. Uno dei fenomeni che ha generato è il rompere i confini dello schermo per essere applicato alla costruzione di hardware che ne incarna i principi. Monome lo fa con molta duttilità, ad esempio, recuperando pienamente la gestualità della manipolazione dei campioni. Il concetto di ‘tastiera’ esplode inglobando l’infinita programmabilità dei suoi elementi bidimensionali. Questi da simboli univoci (note) diventano segni, ossia dal significato sensibile al contesto. In questo modo l’esigenza d’espressione corporea diventa così interfaccia attiva dei processi (similmente a ciò che implementava il Lemur), lasciando che l’adrenalina guidi l’istinto d’intervenire sul flusso dei suoni. La griglia astratta del sequencer diventa, quindi, una sorta di scacchiera dilatata e riprogrammabile che accoglie nelle sue apparentemente rigide geometrie le morbide fluttuazioni del codice che regge l’esecuzione sonora.”

(http://www.neural.it/nnews/monome.htm)

4. Una membrana interattiva che consente di cambiare faccia alle pareti degli edifici e di avviare la produzione di energia dall’impatto dei raggi solari sulla superficie. Questo il biglietto da visita di «Super Cilia Skin», la copertura messa a punto dai ricercatori del Media Lab della Scuola di architettura del Mit di Boston. «Super Cilia Skin è un sistema tattile ispirato al movimento dell’erba agitata dal vento», sottolinea il ricercatore Hayes Raffle. La superficie è composta da attuatori («cilia») ancorati a una membrana elastica e controllati tramite computer. «Gli attuatori – spiega Raffle – modificano il proprio orientamento fisico in base all’impatto del vento sulla superficie oppure alle vibrazioni sonore inviate direttamente dal sistema centrale. In pratica sono in grado ad esempio di muoversi a ritmo di musica. È anche possibile creare sulla superficie forme e sagome, sempre attraverso gli impulsi inviati dal computer». In dettaglio le cilia oscillano in risposta a un campo magnetico: ogni attuatore è infatti dotato di un magnete alla propria base, agganciato a una membrana in silicone. Quando il computer invia l’impulso la superficie si muove e si modella in base alla forza magnetica. La membrana elastica consente alla superficie di mantenere la propria consistenza indipendentemente dalla forza di gravità. Anche il tocco delle dita può modificare la superficie, visto che il contatto crea un campo magnetico, ed è per questa ragione che la membrana è stata definita interattiva. Il prototipo in sperimentazione, utilizza 128 elettromagneti applicati su una superficie che a sua volta è stata ideata per adattarsi alle pareti degli edifici.

Da edilizia e progetto 26 feb. 3 marzo 2007.

5. http://tangible.media.mit.edu/content/papers/pdf/SCS_Textile_053.pdf

vincenzo tattolo febbraio 2009



ci sono
aprile 23, 2008, 5:45 PM
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Per ora solo un saluto…..volevo rassicurare filippo  che ci sono e che credo nel blog…al più presto anche le foto del mio viaggio a lubiana.

Ciao vincenzo