VentiTre


Modellare il presente by lucaincerti
aprile 3, 2009, 9:38 am
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Se la condivisione, classificazione, registrazione ed elaborazione, in una parola la gestione delle informazioni rappresentano la base della rivoluzione informatica, la possibilità di generare modelli dinamici di simulazione ne definisce l’applicazione pratica che ha subito la maggiore accelerazione di sviluppo nell’ambito architettonico.

Negli ultimi trenta anni i sistemi informatici hanno subito un processo di democratizzazione, che ha generato un cambiamento radicale nella struttura delle informazioni attraverso la loro digitalizzazione parallelamente allo sviluppo di software ed hardware sempre più potenti e funzionali in grado di gestirle. Se nel 1981 i calcolatori erano divenuti a tutti gli effetti PC (personal computer) con l’accordo Microsoft- IBM e l’avvento del linguaggio MS-DOS, è nel 1984 con il primo OS ad interfaccia grafica della Apple che i computer diventano uno strumento di massa. La possibilità di relazionare gli spreadsheet con la rappresentazione grafica permise la nascita di quel Filevision antisignano dei potenti programmi GIS su cui di basano i sistemi di modellazione urbana odierni (A. Saggio). Continua a leggere



Max Wan . Proposte per nuove modalità di intervento urbano by lucaincerti
aprile 3, 2009, 9:26 am
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Rotterdam

Intervista con Rients Dijkstra (MAXWAN)

Lo studio Max Wan viene fondato nel 1993 a Rotterdam da Rients Dijkstra , per far fronte ad un primo incarico, da lui stesso definito inusuale: la progettazione di un masterplan per 30.000 nuove abitazioni all’interno del programma VINEX [1].

Dijkstra utilizza un’ironia dal sapore autoreferenziale, visto che, fino a quel momento, era stato project leader e chief designer di OMA per l’ Amsterdam Y-Oevers masterplan e il Tram Tunnel masterplan del L’Aja, oltre ad aver collaborato al Lille ‘Euralille’masterplan.

Max Wan può essere un esempio paradigmatico di quel nutrito gruppo di Design Offices nati all’inizio degli anni novanta, che sono stati testimoni di un’epoca d’oro per l’architettura Olandese. I protagonisti di questa stagione hanno tratto vantaggio dalla congiuntura fra il boom economico e la diffusione di una coscienza dell’importanza della qualità architettonica. (Giampiero Sanguigni)images

Le condizioni create dalla cosiddetta new golden age, hanno permesso la pratica di tutte quelle teorie che stavano ormai trasformando le ultime convinzioni post-modern nella consapevolezza di una second modernity. Come un ricorso storico di inizio secolo, il movimento capitanato da Rem Koohlass promuove una nuova modernità, attraverso le redifinizione dell’accezione di contemporaneo, sviluppando un consistente apparato teorico e un proprio linguaggio, che andrà poi sotto l’etichetta di Dutch Touch .

Il principio generatore è l’accettazione dei codici espressivi attraverso i quali si esprime la società senza nessun tentativo di opporre ad essa la minima frizione culturale. Questa posizione trova la sua esplicazione teorica nella trilogia Koohlaasiana Bigness, Generic city e Junkspace ,ma è sempre sottointesa anche negli altri contributi come il Datascape degli MVRDV , il deep planning degli UNstudio o il soft urbanism e l’orgware dei Max Wan.

Oggi la sperimentazione nell’ambito formale incontra difficoltà nel trovare nuovi stimoli, ma bisogna ammettere che la second modernity olandese ha aperto la strada ad un ripensamento dell’urbanistica come disciplina architettonica, e alla conseguente definizione di nuovi strumenti e scale di intervento. Come il nome stesso di OMA ricorda, l’architettura ha ormai acquisito una accezione metropolitana. Continua a leggere



STRUTTURA® sistema per spazi pubblici verticali by lucaincerti
aprile 3, 2009, 8:46 am
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STRUTTURA®

Densità, Verticalità, Flessibilità, Sostenibilità.

La consapevolezza della condizione metropolitana della città ha riaffermato la necessità di limitare il consumo di suolo a favore di una densificazione dell’esistente, anche se la domanda antimodernista della popolazione sembra essere più direzionata verso l’idillio qualitativo della bassa densità. Si va affermando un approccio che ricerca potenziali risorse spaziali nelle configurazioni urbane non ancora pienamente sfruttate, attraverso quella che potremmo definire un urbanistica dell’ottimizzazione, flessibile e al contempo capace di identificare opportunità piuttosto che limitazioni normative.

Ritornano a pieno titolo nel dibattito la verticalità della Plug-in city di Archigram o la meccanica progressista dell’Utopia futurista, o le PARASITE architetture, che nascono come creature saprofite della città contemporanea, con l’intento anarcoide di sfuggire hai rigidi schemi della pianificazione tradizionale.

Nel frattempo l’istanza ecologista di sostenibilità ha sdoganato il container, che ha potuto ergersi ad nuova unità abitativa o piuttosto a ponte o a piccolo bar, tutto nella imperativa necessità del riuso. Continua a leggere



portoghesi by giudittab
aprile 1, 2009, 8:14 am
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Se qualcuno fosse interessato… lectio magistralis “Palladio e la Modernità” che sarà tenuta da Paolo Portoghesi questo venerdi, 3 Aprile, alle ore 11:00 in Aula Magna a Valle Giulia.
A seguire ci sarà, dalle ore 12:30, la presentazione della rivista di Portoghesi “Abitare la terra” in cui interverranno anche Purini e Petreschi.



seminario carpenzano by giudittab
marzo 30, 2009, 9:02 am
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tavola-copia

La pelle di un corpo non è mai continua e uniforme ma, al contrario, si presenta come una superficie estremamente complessa che ad un’osservazione attenta rivela un fittissimo intreccio di linee che la solcano determinate dai possibili movimenti che il corpo può compiere, una trama ricca di possibilità a sua volta divisa in altre ancora più fitte e non visibili ad occhio nudo.

La pelle, allo stesso tempo, è composta da una sovrapposizione di strati differenti, l’epidermide, il derma, la lamina basale, la tela sottocutanea e molti altri, ciascuno dei quali svolge un ruolo preciso e fondamentale per il corretto funzionamento del corpo umano.

La pelle protegge il corpo da un punto di vista meccanico, la pelle ricopre, la pelle consente scambi determinando un corretto equilibrio idrico-salino, la pelle si adatta ai movimenti, la pelle cambia: con il passare delle stagioni cambia colore, in alcuni animali consente addirittura di mimetizzarsi, e con il passare del tempo rende sempre più marcate le linee che la disegnano, raccontando essa stessa una storia del corpo che nasconde.

Proprio in analogia con la pelle, l’involucro che andrà a interagire con l’edificio sarà un giardino verticale, una pelle verde, mobile e intricata, posta di fronte alla facciata cieca e sostenuta da una struttura leggera costituita da un graticcio di bambù.

La parete retrostante avrà la possibilità di aprirsi in alcuni punti, secondo una griglia modulare di base, per dare modo all’edificio di ricevere luce e aria anche dal lato fino a questo momento cieco, e quindi consentire a coloro che abitano l’edificio di migliorare la qualità della vita. In corrispondenza delle aperture più grandi sarà possibile realizzare dei balconi su cui troveranno appoggio le piante rampicanti e a cascata adottate.

Oltre ad essere un miglioramento per gli abitanti dell’edificio, la creazione di un giardino verticale si presenta, soprattutto, come un contributo alla qualità ambientale del centro cittadino e alla sostenibilità energetica.

Infatti, attraverso questo modo di intervenire sull’esistente sarà possibile creare spazi verdi anche in una zona, come quella di san Lorenzo, in cui il tessuto edilizio è già profondamente consolidato, in cui mancano, però, gli spazi per rimediare alla carenza di verde e per creare un nuovo rapporto con la natura capace di migliorare la qualità dello spazio pubblico. Sfruttando le numerose facciate cieche presenti nel quartiere si potrebbe pensare di creare un sistema di giardini verticali e creare così una rete di verde nella zona.

Ciò che viene proposto è una sorta di trasformazione e catena, una contaminazione virale capace di assalire tutti gli spazi inutilizzati delle facciate cieche della zona, che possa determinare una progressiva riqualificazione della zona, «Nell’architettura pressoché tutti gli edifici sono sottoposti, fin dal momento delle loro ultimazioni, a fenomeni di aggressione virale che li trasformano. L’eliminazione di alcune parti; l’addizione di altre, la superfetazione di volumi che parassitano quelli originali; la modifica dei materiali costruttivi configurano una vicenda distruttiva che è anche, nel suo complesso una dimostrazione di estrema vitalità[1]». L’idea è quella di sfruttare questa caratteristica intrinseca all’architettura a farsi contaminare, per realizzare un sistema capace di interagire con la città esistente, di insinuarsi al suo interno e di determinare la diffusione di un sistema sostenibile di trattamento delle superfici.

Questo determinerebbe certamente un aumento del benessere degli abitanti dal punto di vista psicologico e determinerebbe un progressivo risparmio energetico. La luce, infatti, filtrata dallo strato di verde, durante l’estate consentirà di evitare un’eccessiva introspezione verso le residenze e una totale esposizione ai raggi solari oltre che un raffrescamento naturale. Allo stesso tempo, durante l’inverno, quando il giardino sarà spoglio si garantirà che il sole possa filtrare e scaldare le abitazioni.

La presenza del verde garantirà, quindi, un buon isolamento termico, un controllo naturale dell’umidità,la purificazione dell’aria e un’attenuazione dei rumori. Inoltre, il suo essere “vivente” determina una variazione continua del prospetto, sottolineata ancora di più nel momento in cui vengano adottate più essenze per la stessa parete, nel susseguirsi delle stagioni e del tempo, crescendo, e invecchiando proprio come la pelle, rendendo evidenti i segni impressi dalla natura.


[1] Franco Purini, Architettura virale, in Lotus injternational 133, febbraio 2008, Editoriale Lotus, Skira, pag.84



san lorenzo studio rec.@seminario prof. O.Carpenzano by vincenzotattolo
marzo 23, 2009, 10:08 am
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tavola-vincenzo-tattolo

In una ipotetica mappatura di facciate cieche all’interno delle città e, in particolare a Roma, si verrebbero a creare delle curiose concentrazioni in alcuni quartieri dovute a motivi diversi: legati a delle normative sulle modalità di costruzione o ad eventi storici importanti.

Soprattutto in quest’ultimo caso le facciate conservano una sorta di traumatico e, allo stesso tempo, romantico silenzio. Sono espressioni di un non finito, invocando quasi una richiesta di ritorno alla vita, all’espressione. Da qui la scelta di analizzare le facciate cieche del quartiere San Lorenzo di Roma. Tali facciate, nella maggior parte dei casi, sono oggi quel risultato ancora bendato dei bombardamenti avvenuti durante la seconda guerra mondiale. Camminando per San Lorenzo queste pareti sembrano aver perso qualsiasi valore comunicativo nei confronti della città. In particolare come applicazione di tale studio la parete fra via di Porta Labicana e via dei Sabelli mostra degli spunti interessanti perché suddivisa in più parti e perché antistante le mura. Da questo doppio aspetto di parete cieca e muta nasce l’idea di una installazione di funzioni legate alla performance visiva e uditiva: una “parete” da vivere sia dall’interno che dall’esterno, attori e spettatori nello stesso tempo. Pensare la superficie staccata dall’edificio cui appartiene, non più come la definizione di un volume. Un elemento unico che scambia informazioni sottoforma di suono con l’esterno e che ritorna a vivere proprio come tramite fra interno ed esterno. Il suono produce un’immagine in continua evoluzione.

La suggestione del progetto arriva da una installazione dell’artista americano Joo Youn Paek che mette insieme l’antica arte giapponese degli origami e le più moderne tecniche di sensori sonori e di interfacce per la gestione di forme melodiche complesse. La fisicità del movimento che consente di portare ogni piega dell’origami su un’altra produce una sempre diversa combinazione melodica. L’installazione consiste in tre fogli di carta quadrati con circuiti aperti fatti da tessuti conduttivi attaccati alla carta. I fogli sono piegati in base a tre meccanismi fondamentali dell’origami: la sfera, l’aquilone e il cane. Quando i fogli sono piegati lungo le linee stabilite, un circuito si chiude permettendo l’emissione di un suono. Ciascuna piega è associata ad un diverso suono vocale cosicché le combinazioni di suoni creano armonie. 1

Di qui l’idea di utilizzare l’origami o, più in generale, la piega della superficie in sovrapposizione alla parete cieca. La scelta di una parete piegata, “lavorata” aggiunge un primo registro comunicativo verso la città. Questa reagisce in maniera diversa alla luce, secondo angoli diversi, mostrando ombre e variazioni di colore sempre nuove a seconda dei punti di osservazione. Il disegno della nuova membrana è determinato partendo da una griglia regolare che individua dei possibili punti nodali che consentono sia di creare una specie di matrice strutturale ma offrono anche un sistema semplice che può diventare applicabile in diverse situazioni per pareti cieche in parti differenti della città.

In quello spazio “liminale” fra la parete cieca e la nuova superficie, le facce dell’ origami si ripiegano su se stesse a creare delle capsule attaccate alla parete esistente che ospitano degli studi di registrazione a disposizione della città tramite dei collegamenti esterni. La scelta di questo tipo di funzione è legata anche alla vita del quartiere oggi. San Lorenzo è per antonomasia un quartiere con un’ alta percentuale di giovani dovuta alla presenza dell’università e in particolare di luoghi deputati alla musica.

La finalità ultima della parete esterna è quella di parlare, di mostrare quello che avviene all’interno di essa ed oltre la parete cieca all’interno degli appartamenti. Una sorta di irraggiamento dal nucleo delle abitazioni verso la città. Quindi i suoni, i rumori delle vite che si svolgono all’interno delle abitazioni retrostanti la parete cieca vengono captati, registrati in maniera randomica e immagazzinati in una sorta di database sonoro. Una specie di grande stetoscopio elettronico che capta delle pulsazioni della vita domestica degli abitanti degli edifici oltre la parete esistente. Lo stesso principio viene applicato agli studi di registrazione. In maniera casuale viene registrato ciò che si produce in termini di suono e/o rumore all’interno di questi nuovi organi urbani. Quindi da una parte le case e dall’ altra delle sale musica. In mezzo il limite dell’edificio fino a questo momento invalicabile che diventa ora inconsistente consentendo un “dialogo” fra interno ed esterno.

A supporto di questa prima parte legata alle premesse concettuali e funzionali di occupazione di questo nuovo spazio interstiziale creato ci sono gli ultimi due accenni legati alla tecnologica che può completare questo percorso da parete cieca/muta a superficie performativa/parlante in un continuo rimando semantico e sensoriale tra vista e udito, tra immagini e suoni.

Tutti i suoni preregistrati e immagazzinati vengono poi gestiti grazie all’interfaccia monome.2 Questa consente di immagazzinare una serie di suoni su diversi canali e di miscelarli sia in maniera casuale sia secondo delle logiche di combinazione preordinate. “La griglia astratta del sequencer diventa, quindi, una sorta di scacchiera dilatata e riprogrammabile che accoglie nelle sue apparentemente rigide geometrie le morbide fluttuazioni del codice che regge l’esecuzione sonora.” 3

Dopo la fase di elaborazione del suono si passa al risultato finale. In qualche modo quella parete cieca e invalicabile diventa il limite dell’”irraggiamento” del suono dall’interno verso l’esterno. I suoni vengono raccolti e gestiti tramite un’interfaccia che poi consente di restituire un’immagine alla nuova parete sottoforma di superficie performante. Infatti la griglia rigida del controller monome è collegata alle singole “cilia” del sistema Super cilia Skin4 che rivestono la parete esterna e che riescono a modificare la loro posizione in base agli impulsi sonori che ricevono.5

In definitiva ne consegue una parete esterna che mostra alla città una immagine di sé sempre nuova, in continuo cambiamento e che tale cambiamento è il risulato della combinazione di quello che avviene oltre sé. Non più uno schermo concettualmente non valicabile ma una membrana permeabile e aperta allo scambio in termini di critica e di risposta. Critica per ciò che accoglie al suo interno, oltre sé stessa. Parlante in quanto spiega e svela ciò che è oltre. Una parete viva.

Note

1. http://www.jooyounpaek.com/foldloud.html

2. http://monome.org/

3. “Il sequencer inteso come interfaccia per l’editing di contenuti ha da tempo travalicato il suo legame culturale con la produzione musicale, diventando un archetipo simbolico della strutturazione di informazioni digitali. Uno dei fenomeni che ha generato è il rompere i confini dello schermo per essere applicato alla costruzione di hardware che ne incarna i principi. Monome lo fa con molta duttilità, ad esempio, recuperando pienamente la gestualità della manipolazione dei campioni. Il concetto di ‘tastiera’ esplode inglobando l’infinita programmabilità dei suoi elementi bidimensionali. Questi da simboli univoci (note) diventano segni, ossia dal significato sensibile al contesto. In questo modo l’esigenza d’espressione corporea diventa così interfaccia attiva dei processi (similmente a ciò che implementava il Lemur), lasciando che l’adrenalina guidi l’istinto d’intervenire sul flusso dei suoni. La griglia astratta del sequencer diventa, quindi, una sorta di scacchiera dilatata e riprogrammabile che accoglie nelle sue apparentemente rigide geometrie le morbide fluttuazioni del codice che regge l’esecuzione sonora.”

(http://www.neural.it/nnews/monome.htm)

4. Una membrana interattiva che consente di cambiare faccia alle pareti degli edifici e di avviare la produzione di energia dall’impatto dei raggi solari sulla superficie. Questo il biglietto da visita di «Super Cilia Skin», la copertura messa a punto dai ricercatori del Media Lab della Scuola di architettura del Mit di Boston. «Super Cilia Skin è un sistema tattile ispirato al movimento dell’erba agitata dal vento», sottolinea il ricercatore Hayes Raffle. La superficie è composta da attuatori («cilia») ancorati a una membrana elastica e controllati tramite computer. «Gli attuatori – spiega Raffle – modificano il proprio orientamento fisico in base all’impatto del vento sulla superficie oppure alle vibrazioni sonore inviate direttamente dal sistema centrale. In pratica sono in grado ad esempio di muoversi a ritmo di musica. È anche possibile creare sulla superficie forme e sagome, sempre attraverso gli impulsi inviati dal computer». In dettaglio le cilia oscillano in risposta a un campo magnetico: ogni attuatore è infatti dotato di un magnete alla propria base, agganciato a una membrana in silicone. Quando il computer invia l’impulso la superficie si muove e si modella in base alla forza magnetica. La membrana elastica consente alla superficie di mantenere la propria consistenza indipendentemente dalla forza di gravità. Anche il tocco delle dita può modificare la superficie, visto che il contatto crea un campo magnetico, ed è per questa ragione che la membrana è stata definita interattiva. Il prototipo in sperimentazione, utilizza 128 elettromagneti applicati su una superficie che a sua volta è stata ideata per adattarsi alle pareti degli edifici.

Da edilizia e progetto 26 feb. 3 marzo 2007.

5. http://tangible.media.mit.edu/content/papers/pdf/SCS_Textile_053.pdf

vincenzo tattolo febbraio 2009



TETRISTOWN@Seminario Prof. O. Carpenzano by filippo81
marzo 23, 2009, 12:15 am
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TetrisTown_author:FilippoCerqua

TetrisTown_author:FilippoCerqua

Elaborato conclusivo del Seminario a cura del Prof. O.Carpenzano sul tema:

ARCHITETTURA IN PERFORMANCE. LE SUPERFICI CIECHE DEGLI EDIFICI DELLA METROPOLI CONTEMPORANEA

La città del XXI secolo è oggi più che mai un serbatoio di aree eleggibili ad operazioni di riconfigurazione progettuale. Mutazioni nei tessuti sociali, culturali ed urbani fanno si che ambiti fino ad oggi non valorizzati possano rivelarsi strategici nella volontà di rinnovamento urbano. È in questo contesto teorico che è stato individuato nel quartiere San Lorenzo di Roma l’ambito di intervento più congeniale per un’operazione progettuale volta a trasformare le superfici cieche degli edifici. Queste testimonianze silenziose della tragicità degli eventi che segnarono il quartiere durante il secondo conflitto mondiale hanno assistito, negli ultimi quarant’anni, alla profonda trasformazione socioculturale che ha investito San Lorenzo: non più area residenziale della manovalanza dello scalo ferroviario limitrofo ma piuttosto un informale prolungamento della città universitaria antistante capace ancor oggi di rappresentare il cuore pulsante della Roma “under 40”. Sinteticamente, è qui che oggi si concentrano i luoghi di aggregazione giovanile “extra-turistici”; è qui che la creatività dei giovani romani (di nascita o d’adozione) trova sfogo nelle forme più varie (dalle decine di live-club, gallerie, ecc. fino ai fenomeni di street-art che colonizzano i muri e le strade del quartiere) alimentando il “meraviglioso organismo integrato metabolizzante” che è la città contemporanea. È, nel contesto romano, il luogo del “fast, cheap and out of control” caratterizzante la metropoli del XXI secolo.
Tetristown nasce appunto con l’intento di innescare un processo volto a interrompere la condizione di stasi delle pareti cieche. Preso atto dei fenomeni di trasformazione sopra descritti questo progetto si pone l’obbiettivo di diventare un catalizzatore della trasformazione stessa. Lo scopo non è quindi quello di creare una singolarità progettuale ma di innescare una reazione a catena su scala urbana: uno script liberamente reinterpretabile in tutte quelle condizioni di trasformazione assimilabili alla proposta.
È opportuno sottolineare un secondo aspetto alla base della proposta progettuale: queste unità, non soltanto dovranno assolvere la funzione estrinseca di ridefinizione di spazi presenti ma invisibili nel quartiere e nella città tutta ma, per conformazione morfologica, aspirano a stimolare la colonizzazione puntuale della parete stessa del singolo edificato. La trasformazione è infatti pensata così da “non eliminare completamente la sua funzione preesistente” (la parete cieca come memoria storica) “e non limitare possibili scenari futuri di cambiamento” .

L’area di progetto interessa la parete cieca di un edificio ottocentesco situato tra via dei Sabelli via degli Equi e via degli Arunci che presenta un piano terra commerciale tutt’oggi in uso. L’edificato proposto, con struttura portante in acciaio, è costituito da un’altana soprelevata che insiste su un doppio sistema strutturale verticale in grado di ospitare i collegamenti verticali della struttura. Questa scelta favorisce un’ipotetica cantierizzazione esclusivamente di assemblaggio, in virtù di condizioni contestuali complesse (tessuto ad isolato di matrice ottocentesca con sedi stradali di dimensioni limitate, presenza dell’edificio residenziale di confine, preesistenza del piano terra commerciale).

La morfologia caratteristica di Tetristown non è priva di riferimenti progettuali sia nell’area stessa di San Lorenzo (Istituto di Neuropsichiatria Infantile del Gruppo Metamorph, 1982-1998 ) sia in ambiti geograficamente più distanti (Ontario College of Art & Design di Alsop Architects, Toronto, Canada 2004 ). L’edificio ha come obbiettivo quello di rispondere a tre differenti domande funzionali: una nuova altana sulla città che proietti lo spazio pubblico in altezza offrendo a gli utenti una vista dello skyline romano; uno spazio flessibile in grado di ospitare piccoli eventi culturali e ricreativi: mostre convegni, performances, ecc.; un ambiente in grado di offrire una pausa dal caos urbano del quartiere sottostante per raccogliere i pensieri in un abito pubblico atipico.
L’accesso alla struttura avviene da una porta commerciale ad oggi in disuso situata in via dei Sabelli. Raggiunto il primo piano oggi copertura del piano terra commerciale esistente si incontra uno spazio pubblico attrezzato che accoglie, tra gli altri, due piccoli campi sportivi (basket one-o-one) . La pianta dell’edificio offre all’utente un percorso graduale di scoperta dello skyline. Dopo aver raggiunto la quota dell’edificio attraverso una scala si accede all’ingresso della struttura che propone viste parziali stimolando la curiosità dell’utente ed invitandolo a proseguire nel percorso. Per mezzo di uno spazio connettivo si accede all’ambiente principale che offre, grazie all’ ampia superficie vetrata, una visione più completa. Tale vista si arricchisce ulteriormente raggiungendo la terrazza panoramica direttamente collegata ad una loggia coperta.
Il rivestimento esterno dell’edificio, fissato in opera, consiste di una superficie semipermeabile bianca decorata con una disposizione casuale di quadrati neri che creano un effetto pixels. Le bucature sono costituite da parallelepipedi di vetro colorato aggettanti disposte a varie quote mentre, nell’ambiente principale la grande superficie vetrata arretrata permette la visuale sul panorama circostante. A questo sistema diaframmatico “hard” si affianca il sistema “soft” della pelle di rivestimento per mezzo di un sistema di micro foratura semipermeabile. Grazie a questa soluzione tecnologica l’edificio è in grado di accogliere proiezioni visibili di notte anche all’esterno dell’edificato. L’intento non è tanto quello di proporre un “media-building” quanto di ribaltare il rapporto instaurato tra utente ed edificio. Infatti se di giorno Tetristown è un supporto in grado di offrire un sguardo inusuale sulla città e sul suo skyline, di notte diventa esso stesso oggetto degli sguardi della città che spaziando per il quartiere vedono stagliarsi il suo profilo (necessariamente quindi più alto degli edifici circostanti) nel cielo di San Lorenzo.

Filippo Cerqua, Febbraio 2009



SUC@Seminario Prof. A. Saggio by filippo81
marzo 23, 2009, 12:01 am
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Una versione parecchio provvisoria dell’elaborato finale x il seminario del Prof. A. Saggio dal titolo:

La rivoluzione informatica in architettura

La visione di città del XXI secolo come cosmopoli globale è un assunto ormai condiviso e metabolizzato dalle più significative “vivisezioni teoretiche” contemporanee. Al pari dell’effetto serra o del mercato unico la città è il riflesso della nostra globale condizione umana. È la Città Generica descritta da Rem Koolhaas e, pariteticamente, la Nuova Babilonia di Sanford Kwinter.
La recente “bancarotta” di movimenti intellettuali quali ad esempio il postmodernismo, teorizzata appunto da Kwinter, ha si aperto “una nuova finestra da cui poter cogliere una nuova percezione” ma, a mio modo di vedere, vogliamo ancora mantenere gli scuri ben serrati. Questa reticenza trae forza da due condizioni peculiari dei nostri giorni: la sostanziale inadeguatezza degli strumenti di lettura della città contemporanea e la conseguente idiosincrasia nei confronti della realtà socioculturale underground endemica urbana.

La realtà architettonica contemporanea, come affetta da una singolare schizofrenia, è si conscia che la città del nuovo millennio è un “meraviglioso organismo integrato metabolizzante” ma paradossalmente tenta invano di imbrigliarla nell’asetticità del foglio (zone, reti, confini, colori, ecc.), relegando la rivoluzione tecnologica a semplice mezzo ed azzerandone il potenziale fine intrinseco. È evidente che in questo processo la partecipazione diretta ne esce “frammentata, impacchettata e passiva” . Costretta da queste condizioni al contorno l’architettura non potrà quindi avvalersi del bagaglio di risorse innovative messe in scena, sul palco dell’urbano. Un caso significato che può essere indagato è l’insieme di fenomeni socio-culturali di interazione underground. Il “fast, cheap and out of control” descritto dagli scenziati del Santa Fe Institute for the Study of Complexity vive reinventandosi nei percorsi del traceur o nelle istallazioni temporanee della streetart. Più o meno consciamente, questi movimenti, figli dell’interazione virtuale e della rilettura critica dello spazio urbano, azzerano quegli assunti teorici dell’architettura scritta come il non luogo o la pianificazione. Sono prodotti auto-generatisi nelle viscere della città contemporanea: non sono lo specchio socio culturale della città generica ma sono, in ultima istanza, l’incarnazione stessa dell’urbano nel nuovo millennio. In loro convivono tutti quei valori che la teoria architettonica ha evidenziato negli ultimi anni: imprevedibilità, autogenesi, mixité, interazione. Eppure, agli occhi dell’istituzione, permangono in una condizione d’ombra: sono “street renegades” .

È necessario quindi indagare l’interazione tra urbanità ed uomo attraverso una nuova ottica che rivoluzioni i ruoli: una lettura poligenetica che affondi le sue radici non nell’ “uomo” come costrutto mentale, ma bensì negli “uomini” come fisicità e quindi nel corpo. Come testimoniato dai fenomeni culturali street già descritti, ritengo sia opportuno spostare la nostra attenzione su nuovi aggettivi: temporaneo, flessibile, imprevedibile, polifunzionale, indeterminato, interattivo. È evidente che in questa indagine sarà necessario ridefinire quel bagaglio di strumenti interpretativi della città che possano realmente supportare la lettura caratteristica sopra citata. A tal riguardo è opportuno ribadire che esistono esperienze a cui riferirsi sia nell’ambito proprio dell’architettura sia in ambiti indiretti (come l’esperienza di lettura dinamica dello spazio “ Urban studies/jogging ” del giornalista Micheal Wilson) .

P.S.: ringrazio i colleghi Antonino, Francesca e Luca con i quali ho condiviso questa esperienza. Suc fa parte del nostro elaborato “Body based modelling system: retooling urban space” , Giugno 2008
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dottoratoventitre, se ci sei batti un colpo! by Roberto Filippetti
marzo 4, 2009, 11:14 PM
Filed under: ARCHITETTURA & CO.

carissimi, il blog langue di news! nel caso a qualcuno interessasse, segnalo una conferenza di giorgio grassi venerdi prox:

http://w2.architetturavallegiulia.it/images/documents/Locandina_internet.jpg

avete scelto i seminari del nuovo anno?!

un saluto a tutti e a presto,

roberto



urbs 08 by giudittab
novembre 27, 2008, 9:05 am
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per chi ha tempo e voglia… saluti a tutti,

giuditta

urbs08_programma